Nel 2016 è stato scoperto un batterio che è capace di mangiare la plastica. Da allora i ricercatori hanno cercato di capirne il funzionamento, si sono interrogati sulla sua evoluzione e sulle sue capacità. Potrà il batterio mangia plastica aiutarci a risolvere il problema dei rifiuti di plastica e delle microplastiche? Le ricerche sono ancora in corso. IL BATTERIO MANGIA PLASTICA: LA SCOPERTA In Giappone, in una discarica, si nascondeva un microrganismo capace di degradare il polietilene tereftalato, cioè la plastica più usata sul mercato, detta PET. Con questo tipo di materiale vengono prodotti oggetti monouso che gettiamo via tutti i giorni come contenitori per il cibo o bottiglie d’acqua che hanno generato un grave problema ambientale legato all’inquinamento da plastica. Il problema è che la plastica ci mette centinaia di anni a biodegradarsi e i rifiuti si ritrovano a vagare per il pianeta inquinando mari e oceani per lungo tempo. Inoltre, si stanno approfondendo sempre di più le ricerche sulle microplastiche e sui danni che esse possono creare agli ecosistemi e alla salute di tutte le specie del pianeta. Dunque, la scoperta nel 2016 di proto-batteri capaci di degradare questo materiale ha scosso la comunità scientifica. In pochissimo tempo gli Ideonella sakaiensis hanno attirato l’attenzione di tutti. IL BATTERIO MANGIA PLASTICA COME FUNZIONA? Una volta scoperta l’esistenza di un batterio capace di digerire la plastica si è subito iniziato a studiarlo, soprattutto alla ricerca di nuove strategie per risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti di plastica. Quindi, come funziona questo batterio? Il PET, polietilentereftalato, è per questi batteri un vero e proprio nutrimento. Essi si sono adattati alle nuove condizioni di vita che l’ambiente gli ha proposto e hanno iniziato a usare come fonte nutritiva questo materiale. Hanno fatto un salto evolutivo sorprendente in solo circa settant’anni. Il batterio sfrutta due enzimi: inizialmente esso aderisce al materiale e secerne l’enzima PETasi che la divide in piccoli pezzettini; poi entra in gioco un secondo enzima, il MHET idrolasi che scinde il materiale per renderlo nutrimento. Questa azione divide la plastica in due elementi: il glicole etilenico e l’acido tereftalico. Essi diventano fonte di carbonio per il batterio che se ne nutre. LE RICERCHE SUL BATTERIO MANGIA PLASTICA Le ricerche hanno evidenziato che il funzionamento del batterio mangia plastica e l’insieme di enzimi che sfrutta sono unici nel loro genere, se essi fossero frutto di un percorso evolutivo questo è avvenuto in tempi brevissimi, ragione in più per rendere gli studiosi ancora più interessati al batterio. Ulteriori approfondimenti hanno fatto emergere che il processo nutritivo di questo batterio è molto lento poiché impiega circa sei settimane per degradare circa 60 mg di plastica ad una temperatura ottimale di 30°. Questa capacità era sconosciuta in natura prima della scoperta del 2016 e ciò ha portato molti ad interrogarsi sulla possibilità di risolvere il problema dell’inquinamento grazie al batterio mangia plastica. IL BATTERIO MANGIAPLASTICA È UNA SOLUZIONE? Nonostante il grande interesse suscitato dal batterio mangia plastica e le numerose ricerche svolte è necessario attendere ulteriori studi per capire se ci saranno utilizzi efficaci del batterio. Si ipotizza che possano essere impiegati nel percorso di riciclo del materiale poiché essi scindono la plastica in due componenti più semplici. Alcuni studi hanno mostrato che lasciando proliferare il batterio in circa cinque mesi il peso della plastica si era ridotto fino al 7%. Ad oggi, però, quelle da smaltire sono intere isole di rifiuti di plastica e quindi la strategia da utilizzare non è ancora chiara. Certo è che le prospettive sono buone e interessanti, il mondo della ricerca ha ancora tanto da scoprire. Nel frattempo quello che possiamo fare è ridurre al minimo il consumo della plastica e riciclare quanto più possibile. Puoi cominciare subito con i prodotti R5 per la casa, per il bucato e per la cura della persona.